Perché la finzione del «rapimento forzato» non scompare? — Dieci anni dopo la smentita degli articoli dell’Asahi sulle comfort women, avanzano gli studi critici in Corea e negli Stati Uniti mentre la propaganda anti-giapponese si diffonde nel mondo
A dieci anni dalla smentita da parte dell’Asahi Shimbun della falsa «testimonianza Yoshida» sul presunto rapimento forzato di donne coreane come comfort women, in Corea e negli Stati Uniti si sono moltiplicati gli studi accademici che confutano la teoria del rapimento forzato e la narrazione delle «schiave sessuali», e in Corea sono emerse critiche e scandali prima tabù sul gruppo di attivismo Justice and Memory.
Nel frattempo, le statue delle comfort women continuano a essere utilizzate come strumenti di propaganda anti-giapponese in tutto il mondo, come dimostra il monumento di Stintino, in Italia, rendendo estremamente difficile correggere le falsità ormai radicate.
L’articolo rintraccia l’origine del problema negli articoli errati dell’Asahi pubblicati dal 1982 e nel rifiuto di ascoltare fin dall’inizio le critiche degli esperti, sottolineando come tutto ciò abbia trasformato la questione in una grande controversia internazionale che riguarda non solo i cittadini giapponesi, ma anche i lettori di tutto il mondo.
Perché la finzione del «rapimento forzato» non scompare? — Dieci anni dopo la smentita degli articoli dell’Asahi sulle comfort women, avanzano gli studi critici in Corea e negli Stati Uniti mentre la propaganda anti-giapponese si diffonde nel mondo.
Sono passati dieci anni da quando l’Asahi Shimbun ha smentito come falsa la «testimonianza Yoshida» sulla quale aveva basato i suoi articoli sul rapimento forzato delle comfort women.
In Corea e negli Stati Uniti sono progredite le ricerche accademiche che negano la teoria del rapimento forzato e la narrazione delle schiave sessuali, e in Corea sono emerse pubblicamente critiche e sospetti di irregolarità nei confronti del Consiglio Giustizia e Memoria (l’ex Consiglio Coreano), che erano stati un tabù.
Nel contempo, la propaganda anti-giapponese attraverso le statue delle comfort women continua in tutto il mondo, e rimane difficile correggere le finzioni.
La statua delle comfort women installata nella città italiana di Stintino simboleggia la distorsione della storia, e le storie inventate contro il Giappone continuano a diffondersi nella comunità internazionale.
Il reportage errato dell’Asahi, che è il punto di partenza del problema, esiste dal 1982 (Showa 57) e, come risultato dell’aver ignorato fin dall’inizio le smentite degli specialisti, si è trasformato in una enorme questione internazionale.
Si tratta di un contenuto che deve essere letto dai cittadini giapponesi e dai lettori di tutto il mondo.
Quanto segue è tratto dal quotidiano Sankei Shimbun di oggi.
Per quanto riguarda la questione della statua delle comfort women installata su un terreno pubblico della città di Stintino, in Italia, si tratta di un fatto ridicolo che la grande maggioranza dei giapponesi, me compreso, ha conosciuto per la prima volta.
Come i lettori sanno, io non solo, per una certa circostanza, ho fondato una filiale a Roma, ma sono anche una persona che ama l’Italia e il cinema italiano rappresentato da Fellini.
Tuttavia, questa città di Stintino, che incontro qui per la prima volta, è una città stolta che possiede solo il livello di intelletto più basso della storia dell’umanità, e una città che, macchiando il nome dell’Italia, merita disprezzo.
È una lettura indispensabile non solo per i cittadini giapponesi, ma per le persone di tutto il mondo.
«Le incomprensioni sul “rapimento forzato” rimangono irrisolte»
Dieci anni dalla smentita degli articoli sulle comfort women dell’Asahi
In Corea e negli Stati Uniti avanzano gli studi critici
Il 5 di questo mese ricorrono dieci anni da quando l’Asahi Shimbun ha riconosciuto come falsa la testimonianza di Yoshida Seiji (deceduto), secondo cui durante la guerra donne in Corea sarebbero state rapite con la forza per diventare comfort women, e ha ritirato gli articoli correlati.
In questo periodo sono stati pubblicati in Corea e negli Stati Uniti studi che negano la teoria del rapimento forzato delle comfort women, e in Corea si è cominciato a sollevare pubblicamente critiche nei confronti delle associazioni di supporto alle ex comfort women, cosa che prima era un tabù.
D’altro canto, non si è riusciti ancora a dissipare i malintesi intorno alla questione delle comfort women, e emerge la realtà che non è affatto facile correggere le «storie inventate» che si sono diffuse nel mondo.
(a cura di Takao Harakawa)
Nel luglio 2019 in Corea è stata pubblicata una raccolta di saggi accademici che affrontavano in modo scientifico le questioni storiche tra Giappone e Corea, dal titolo Anti-Japan Tribalism, che è divenuta un bestseller.
«Non si trattò che di un sistema di prostituzione autorizzata privata che venne mobilitato e organizzato a fini militari.»
Così spiega le comfort women Lee Young-hoon (ex professore all’Università Nazionale di Seoul e direttore della Syngman Rhee School), indicando che il fondamento della teoria del rapimento forzato erano le menzogne di Yoshida e le testimonianze problematiche di alcune ex comfort women.
Egli bolla come «teoria infondata e assurda» l’idea che vi siano state 200.000 comfort women, rifiuta anche la narrazione delle schiave sessuali e denuncia «l’ignoranza e i pregiudizi degli attivisti e dei ricercatori».
Negli Stati Uniti, nel 2020, il professor J. Mark Ramseyer dell’Università di Harvard ha pubblicato un saggio che dimostra in modo empirico che le comfort women non erano schiave sessuali, ma avevano concluso contratti con i gestori dei bordelli che combinavano un anticipo con un periodo di lavoro determinato.
Lee e gli altri sono stati bersagliati da critiche emotive da parte dei media e degli studiosi.
Il professor Ramseyer, da parte sua, ha replicato ai ricercatori statunitensi che lo avevano criticato, affermando che sembravano «accettare alla lettera le affermazioni di Yoshida».
Nel corso di questi dieci anni si è verificato un importante sviluppo politico: l’accordo tra i governi giapponese e sudcoreano sulla questione delle comfort women.
Il 28 dicembre 2015 l’allora ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida e il ministro degli Esteri sudcoreano Yun Byung-se si sono incontrati a Seoul, confermando la «risoluzione finale e irreversibile» della questione delle comfort women e impegnandosi a «astenersi reciprocamente da accuse e critiche» nelle Nazioni Unite e «nella comunità internazionale».
Sulla base dell’accordo il governo giapponese ha versato 1 miliardo di yen alla «Fondazione per la riconciliazione e la guarigione», istituita dal governo sudcoreano per assistere le ex comfort women.
Delle 47 ex comfort women ancora in vita al momento dell’accordo, 35 hanno accettato il programma di pagamenti in contanti della fondazione.
Tuttavia, sul versante sudcoreano, il governo di Moon Jae-in, che ha sostituito quello di Park Geun-hye in carica all’epoca dell’accordo, ha di fatto annullato l’intesa e ha annunciato lo scioglimento della fondazione.
I fondi residui versati dal Giappone, pari a circa 5,9 miliardi di won (circa 640 milioni di yen), rimangono tuttora sospesi.
Diffusione dell’anti-giapponismo attraverso le statue delle comfort women
«Yoon Mi-hyang, da una posizione filo-nordcoreana e subordinata alla Corea del Nord, utilizza le comfort women per condurre attività anti-statali e anti-sudcoreane.»
Così ha dichiarato Joo Ok-soon, che chiede la rimozione delle statue delle comfort women erette dall’ex associazione di supporto alle ex comfort women «Consiglio coreano per la soluzione della questione della schiavitù sessuale da parte dell’esercito giapponese», oggi Consiglio Giustizia e Memoria per le questioni della schiavitù sessuale militare giapponese (Justice and Memory Council), in un simposio internazionale sulla questione delle comfort women tenutosi a luglio a Nagatachō, Tokyo.
Il predecessore del Justice and Memory Council, il Consiglio coreano, dal gennaio 1992 tiene ogni mercoledì una manifestazione di protesta contro il governo giapponese davanti all’ambasciata del Giappone a Seoul.
Ha ampliato la propria campagna anti-giapponese sfruttando le Nazioni Unite e il Congresso degli Stati Uniti, cercando di diffondere la questione delle comfort women in patria e all’estero.
All’interno del Justice and Memory Council è scoppiato un conflitto interno.
Nel maggio 2020 Lee Yong-soo, ex comfort woman che aveva a lungo lavorato con Yoon, ha denunciato che le donazioni raccolte dal Justice and Memory Council erano di destinazione ignota e ha criticato l’organizzazione dichiarando, come ha riportato il Chosun Ilbo: «Per trent’anni sono stata ingannata fino in fondo e sfruttata fino in fondo.»
Questa denuncia ha fatto emergere lo scandalo finanziario del Justice and Memory Council.
Sono venuti alla luce anche i suoi rapporti collusivi con la Corea del Nord.
Yoon è stata incriminata per reati tra cui l’appropriazione indebita di donazioni ed è stata riconosciuta colpevole sia in primo grado che in appello.
Sebbene le critiche al Justice and Memory Council, che in Corea erano state un tabù, siano ora possibili, l’organizzazione continua le sue attività anti-giapponesi.
Nel giugno di quest’anno, su proposta del Justice and Memory Council, è stata eretta su un terreno pubblico della città italiana di Stintino una statua delle comfort women accompagnata da una targa che afferma esplicitamente che «un gran numero di donne furono rapite e ridotte in schiavitù sessuale, un crimine paragonabile all’Olocausto».
Prima pubblicazione nel 1982 (Showa 57)
I primi dubbi sulla «testimonianza Yoshida»
Il 5 e 6 agosto 2014 (Heisei 26) l’Asahi Shimbun ha pubblicato una serie di articoli speciali intitolata «Riflettere sulla questione delle comfort women», in cui rivedeva la propria copertura del tema.
Nell’articolo del 5 agosto l’Asahi ha rivelato di aver riportato «almeno 16 volte» la testimonianza di Yoshida Seiji, che aveva a lungo affermato che donne in Corea erano state rapite con la forza, e ha annunciato di ritenere che la testimonianza fosse falsa, ritirando 16 articoli relativi (nel dicembre dello stesso anno sono stati aggiunti altri due articoli da ritirare).
La prima volta che l’Asahi ha pubblicato il racconto di Yoshida sul rapimento forzato di donne in Corea è stata nell’edizione del mattino del 2 settembre 1982 (Showa 57) della redazione di Osaka.
Riportando il contenuto di una conferenza tenuta da Yoshida a Osaka, l’articolo citava affermazioni come: «In una settimana all’inizio dell’estate del 1943 (Showa 18) nell’isola di Jeju ho “catturato” 200 giovani donne coreane.»
Sulla testimonianza secondo cui donne sarebbero state rapite con la forza in Corea erano stati sollevati dubbi già da tempo.
Nel marzo 1992 (Heisei 4) lo storico contemporaneista Ikuhiko Hata ha condotto una ricerca sul campo a Jeju, e giornalisti locali e anziani del posto hanno unanimemente respinto la testimonianza di Yoshida.
Il quotidiano Sankei Shimbun ha riportato i risultati dell’indagine di Hata nell’edizione del mattino del 30 aprile 1992.
Nelle pagine nelle quali ha ritirato gli articoli, l’Asahi non ha presentato alcuna scusa.
Il rapporto della commissione terza indipendente, istituita dall’Asahi per esaminare la copertura sulle comfort women, ha criticato il fatto che l’Asahi inizialmente non si sia scusato, affermando che «a causa di un’eccessiva attenzione all’opinione pubblica contraria e alle posizioni degli altri quotidiani nei confronti dell’Asahi Shimbun, il giornale ha considerato solo questi come interlocutori, mancando della prospettiva del proprio ruolo come organo di informazione e della responsabilità verso i lettori in generale: non è questo il comportamento che un giornale dovrebbe tenere.»
Il Sankei Shimbun ha chiesto alla società editrice Asahi Shimbun come valuti oggi il ritiro degli articoli relativi a Yoshida di dieci anni fa.
Il dipartimento relazioni pubbliche dell’Asahi ha risposto: «Le nostre opinioni e la nostra posizione, come dichiarato all’epoca sul giornale e sul nostro sito, non sono cambiate.
Alla luce delle osservazioni e delle raccomandazioni della commissione terza che ha esaminato la nostra copertura sulle comfort women e ha presentato il proprio rapporto nel dicembre 2014, continueremo ogni giorno il nostro lavoro di raccolta delle notizie e di informazione.
Diventando un giornale degno di fiducia, intendiamo assolvere le nostre responsabilità.»
